Le Mille e una notte: raccontare per (soprav)vivere

الف ليلة و ليلة

Arabian nights. Le mils et une nuit. O “Le Mille e una notte”, come le conosciamo noi.

Ma le conosciamo veramente? Sappiamo da dove provengono, che cosa sono, che cosa sono o meglio, cos’erano e di cosa trattano?

Ad oggi forse è più il titolo ad avere risonanza piuttosto che la trama di per sé. Scommetto, però, che ognuno di noi si è fatto sicuramente raccontare o ha letto qualche fumetto, visto l’opera teatrale, il musical, il film d’animazione o il fantasy di una delle storie contenute nella così definita “raccolta di fiabe”.

Mi riferisco in particolare ad Aladino e il genio della lampada; ma se vi dicessi anche Ali Babà e i quaranta ladroni? Sinbad il marinaio? Sono tutti racconti che abbiamo imparato a conoscere singolarmente senza associarli ad un contesto comune eppure, “Le Mille e una notte” li lega uno all’altro tramite la storia protagonista che fa da cornice: Shahrazad e la sua impresa di raccontare per (soprav)vivere.

Sappiamo da dove provengono?

Nonostante molti studiosi si siano dedicati alla ricerca, alla sistemazione e all’analisi critica delle raccolte sopravvissute fino ad oggi e nonostante vi siano stati dei ritrovamenti riconducibili al X e XI secolo, che attestano la circolazione di due possibili manoscritti, uno in arabo e l’altro in persiano, non si riesce a ricostruire con esattezza l’origine. In particolare, è complicato indicare l’età del libro, la lingua in cui è stato pensato, l’autore- o probabilmente gli autori- e il paese di origine, siccome secondo alcuni il manoscritto discende da un prototipo persiano, se non anche indiano.

Per capire meglio il mistero che ruota attorno all’origine, bisogna tenere presente che l’opera ha preso il volo ed è diventata celebre dalla versione del francese Galland, pubblicata dal 1704 al 1717. Infatti, egli ha tradotto un manoscritto arabo proveniente dalla Siria datato al tredicesimo secolo- quindi tre secoli dopo il primo ritrovamento-, contenente 282 notti delle innumerevoli promesse dal titolo e scritto in “Middle Arabic”; ovvero la lingua parlata durante il Medioevo arabo: un unione tra la lingua colloquiale parlata, i dialetti, la lingua scritta e qualche parola di origine turca e persiana.

Inoltre, Galland non si limita solamente a tradurre i racconti: li rielabora, aggiunge dettagli, eleva il registro linguistico adattandolo al proprio periodo storico e, infine, inserisce delle nuove storie. Di queste ultime, una parte gli viene dettata da un conoscente maronita cristiano siriano mentre l’altra, si pensa facesse parte di un secondo manoscritto andato perduto, che conteneva le storie di Aladino e il genio della lampada, di Alì Baba e i quaranta ladroni, non rinvenuti in nessuna delle opere precedenti alla versione di Galland. Secondo molti, è improbabile che queste ultime storie le abbia inventate tutte lui, il che ci riporta al non riuscire ad individuare il manoscritto zero.

Che cosa sono o meglio, che cos’erano?

Senza ombra di dubbio però, si può affermare che l’opera “Le Mille e una notte” è un insieme intricata di racconti orali e scritti, sviluppati a più livelli di narrazione, che ha attraversato epoche e paesi fondendo e inglobando una serie di elementi e tratti da numerose letterature: quella araba, persiana, indiana, romana, greca, ebraica, copta, islamica e pre-islamica. Questa combinazione colora i racconti con sfumature e retaggi culturali diversificati.

Con la traduzione di Galland, il libro esplode in tutto il mondo, anche in Medio Oriente, dove all’epoca non aveva avuto molto successo a causa del registro linguistico basso utilizzato dalla versione araba, che si discostava troppo dal prototipo della letteratura dell’adab, ma che Galland era riuscito ad elevare in francese. Da qui in avanti, svariati autori si cimentano nella traduzione dell’opera in inglese, in italiano, in russo, in tedesco, in olandese e così via, sempre conformandola a seconda del loro pubblico, dell’epoca e del loro intento. Alcuni traduttori elevano il registro dell’opera rendendola “pura” eliminando parti ritenute volgari, altri invece ne esagerano e ne rimarcano le scene erotiche o ancora, la utilizzano per l’apprendimento dell’arabo come avvenne in una colonia inglese in India.

Ma di cosa tratta il libro?

Oltre ad iniziare con una bàsmala, il libro vuole che Shahzaman, poco prima di partire per andar a far visita al fratello re Shahriyar, scopra il tradimento della moglie e per vendicarsi uccide lei e l’amante. Una volta arrivato nel regno di Shahriyar, nota che la moglie del fratello e tutte le sue ancelle hanno degli amanti e glielo rivela. Entrambi i fratelli cornificati partono per dimenticare tutto, ma tornano indietro poco dopo, ancora più in collera col genere femminile a causa di uno spiacevole incontro con un ifrit, un demone, e sua moglie.

Shahriyar mette in atto la sua vendetta, non solo contro la moglie ma contro il genere femminile. Innanzitutto, fa uccidere la moglie, l’amante e tutte le ancelle. Dopodiché decide di prendere in sposa una vergine diversa ogni giorno, passare la notte insieme e farla uccidere all’alba. Pian piano inizia prendere in sposa le figlie dei mercanti, dei soldati e via dicendo. Ed è qui che entra in gioco Shahrazad, figlia del visir, che si sacrifica offrendosi volontaria a sposare il re e a porre fine a questa disgrazia. Shahrazad però non è una sprovveduta e arriva a palazzo con un piano: narrare ogni notte una storia al re senza mai terminarla, in questo modo egli, incuriosito dal finale, non avrebbe potuto ucciderla.

Ogniqualvolta che le luci dell’alba interrompono la narrazione orale di Shahrazad riportando il re a quella che per lui è la realtà, anche la narrazione scritta si arresta momentaneamente, a differenza del re però, il lettore viene prelevato e rigettato nella storia cornice dove, solo una volta giunta nuovamente la notte, potrà riprendere la narrazione.

I racconti approfondiscono l’epica e la filosofia, gli aneddoti di vita e la politica, a volte contengono descrizioni di scene erotiche, altre volte invece si presentano come fiabe che narrano una fiaba, che narrano un’altra fiaba, che narrano un’altra fiaba ancora. Quest’ultima è la narrazione a più livelli: una concatenazione di narratori che raccontano, creando così un labirinto di storie che si susseguono.

La molteplicità dei racconti e gli espedienti narrativi in essi usati sono stati motivo di interesse e di replica per gli autori di tutti i tempi, mentre per i lettori europei dell’epoca, l’opera è sicuramente stata una lente di ingrandimento verso quell’ Oriente ancora non troppo conosciuto, una guida di primo approccio sugli usi e i costumi, sulle capacità di stesura e narrazione dell’altra civiltà, creando anche quella concezione di esotismo e l’immaginario distorto dell’harem, che diverrà tipica dal XVIII secolo in poi.

Ad oggi, di Shahrazad e delle sue eroiche gesta, di tutte quelle innumerevoli notti insonne passate a raccontare, di tutte quelle variopinte storie di personaggi, del prestigio de “Le Mille e una notte” rimane solo il titolo, una volta imponente e adesso dimenticato, troppo spesso ridotto alla sola storia di Aladin e il genio della lampada.

Norma Febbo

Fonti

  • R. Irwish, Arabian nights: a companion, The Penguin Press, 1994.
  • R. Denaro, M. Casari, Le mille e una notte, Donzelli Editore, Roma, 2016.

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