Il lato oscuro di Petra: storia, turismo e diritti umani nel deserto giordano

I paesaggi giordani hanno sempre incantato registi e scrittori, turisti e viaggiatori, che, imbattendosi nella sinuosità delle sue dune, nella limpidezza delle sue acque, e nella profondità della sua volta celeste hanno deciso di immortalarne le storie e i volti.

Dalla turista neozelandese che sposò un beduino di Petra negli anni 80 e divenne famosa per il libro “Married to a bedouin”, passando per Steven Spielberg con il suo “Indiana Jones e il Tempio Maledetto”, per arrivare ai più recenti Star Wars: la Giordania ha saputo stregare, accogliere, e cullare nelle proprie contraddizioni le storie che l’hanno scelta come sfondo. La semplicità con cui il deserto del Wadi Rum si abbraccia alle spiagge bollenti di Aqaba, o ancora la naturalezza con cui una megalopoli di milioni di abitanti come Amman, arida e priva di acqua, sfocia piano piano nelle verdi valli del nord: tutto suggerisce che la Giordania sia un luogo magico, forse stregato, in grado di competere con storie mitiche dell’antichità umana e per cui le normali regole del mondo non valgono.

Il luogo simbolo di questo surrealismo desertico è sicuramente Petra, la mitologica capitale nabatea a sud del paese. Petra è forse uno dei più famosi luoghi del Levante, soprattutto dopo la sua proclamazione come meraviglia del mondo dall’UNESCO nel 2007.

Petra, con tutta la Giordania, è stata al centro di grandi campagne turistiche. Basta pensare alla tappa giordana del famoso reality show “Pechino Express Italia”, nell’edizione 2022, durante la quale i concorrenti hanno percorso il paese da sud a nord. Più recentemente, se vi è capitato di passare a Milano, vi sarete imbattuti nelle decine di tram ricoperte da manifesti che pubblicizzavano la Giordania. Così, mentre siamo alla banchina ad attendere un tram, ci ritroviamo catapultati nel Mar Morto, a galleggiare mentre ammiriamo il deserto intorno. Infine, molti sono gli influencer e i personaggi famosi che hanno recentemente visitato il paese, prima fra tutti Chiara Ferragni, che ha scelto la Giordania come meta per una vacanza fra amici a ottobre 2022.

Annunci pubblicitari su tram di Milano. Fonte: Adsoftheworld

Ma qual è il prezzo di tutto questo? In che modo la Giordania si rende “accessibile”, e pronta a ricevere turisti da tutto il mondo? Come si sostiene un’economia quasi esclusivamente sul turismo? A maggior ragione, in un paese dove l’acqua scarseggia, e dove le ondate di rifugiati che provengono da tutta la regione cercano protezione poiché si tratta dell’unico paese (apparentemente) pacifico e stabile del Levante? Come sostenere tutti gli abitanti di un paese la cui popolazione è cresciuta di 24 volte negli ultimi decenni? Il prezzo è molto salato, ma non è equamente distribuito fra tutte le parti della popolazione.

Vista sul Monastero

La storia

Petra non si è sempre chiamata così. Il nome con cui la conosciamo oggi è di origine greca e significa, ovviamente, “pietra”. Un tempo la città era nominata in aramaico Rakam, la “variopinta”, una parola che stride con le attuali condizioni di Petra.

Venne fondata nel XII secolo a.C. e, al tempo dei Nabatei, del cui regno era capitale, Petra era abitata da 30.000 persone. Il regno nabateo fu indipendente dal IV secolo a.C. fino alla sua annessione all’Impero Romano, nel 106 d.C., e comprendeva i territori dell’attuale penisola del Sinai, del sud della Palestina, del nord-ovest dell’Arabia Saudita e della quasi totalità del territorio giordano.

Petra era, ed è, al centro di un vasto deserto.

Ma perché costruire una città proprio in un luogo così ostile?

I Nabatei erano commercianti e vivevano principalmente da nomadi. Petra costituiva una vera e propria oasi nel deserto, un punto di ristoro e ritrovo per coloro che percorrevano il deserto carichi di spezie, cibo e incensi che, dalle Indie, raggiungevano il Mediterraneo e l’Europa. Petra era una vera e propria città, ricca di divertimenti e attività, al punto da essere stata definita la “Las Vegas” del passato.

Si faceva grande sfoggio di acqua, ad esempio con fontane pubbliche. L’acqua veniva raccolta in canaline, ancora oggi visibili, che raccoglievano la condensa delle rocce e trasportavano l’acqua dove desiderato dai costruttori.

Le canaline fungono ora da metonimia per raccontare l’architettura e le particolarità di Petra. L’intera città è, infatti, non costruita con la roccia, ma NELLA roccia. Le canaline sono intagliate alla base dei grandi massi che incorniciano il Siq, ovvero il lungo canyon d’ingresso, e le famose strutture del Khazneh (il Tesoro) e del Monastero, come tutto ciò che è rimasto di Petra, sono interamente scolpite nella roccia. Questa particolarità architettonica ha permesso la conservazione del sito attraverso i molti secoli, senza danni, nonostante i numerosissimi terremoti che hanno colpito la regione.

Le canaline per la raccolta dell’acqua percorrono tutto il canyon del Siq

L’architettura della città tradisce i numerosi contatti sia con le civiltà mediterranee che con quelle dell’estremo Oriente: le colonne di Petra hanno capitelli dall’aria greca, ma sono sormontate da intagli di elefanti bardati. La contaminazione ben rappresenta il ruolo cruciale di questo luogo, un vero e proprio crocevia del commercio e della cultura.

La maggior parte delle strutture che ci rimangono da visitare erano, originariamente, delle tombe. Nei secoli si sono verificati innumerevoli tentativi di furto da parte di predoni, convinti che nelle urne intagliata e nelle tombe sigillate dalla pietra si celassero tesori inestimabili. Ad oggi, nessun materiale prezioso è stato rinvenuto a Petra, ma ci rimangono le tracce del passaggio dei ladri, che hanno danneggiato molte facciate e statue.

Petra è stata gradualmente abbandonata, anche in concomitanza con la perdita di importanza delle rotte commerciali attraverso il deserto giordano, rimanendo abitata dai Nabatei e dai loro discendenti.

Ma quando è stata aperta ai turisti?

Vista sul Khazneh, il Tesoro, una delle attrazioni più celebri di Petra

Vista sul Khazneh, il Tesoro, una delle attrazioni più celebri di Petra

Il turismo

C’è una leggenda su Petra, che ne aumenta la magia e il mistero. Nel XIX secolo un esploratore svizzero, Ludwig Burckhardt, deciso a scoprire la città segreta di Petra di cui si erano perse le tracce da secoli, si sarebbe travestito da pellegrino. Si sarebbe poi integrato in una popolazione di beduini, nascondendo le proprie origini e intenti. I beduini avrebbero poi condotto Ludwig alla scoperta di Petra, che rimaneva proibita ai più e veniva abitata da loro transitoriamente.

Lo storico Alessandro Barbero ci accompagna alla scoperta della verità. L’esploratore è esistito, ma gli storici non ignoravano l’esistenza di Petra prima della sua “scoperta”. Le cartine dei secoli precedenti all’avventura beduina di Burckhardt segnalavano chiaramente la presenza della città di Petra nel deserto, anche se, ovviamente, non era un sito turistico come lo è oggi.

Petra viene aperta ufficialmente alle visite nel 1985, anno a cui seguiranno decenni di restauri e attenzione internazionale su un sito archeologico di tale importanza. Nel 2007 Petra entrerà a far parte ufficialmente delle sette meraviglie del mondo proclamate dall’UNESCO, insieme ad altri sei monumenti in tutto il mondo. Si tratta dell’unico monumento nominato nella regione MENA, oltre che del più antico fra i sette vincitori (seguono la Muraglia Cinese, datata 215 a.C., e il Colosseo, 80 d.C.).

Camminando a Petra sembra di visitare una città fantasma appena risvegliata, che ora si prostra ai tuoi piedi con tutti i servizi possibili – tè, caffè, khajal, shisha, ristorante a buffet, corsa su cammello, asino, o cavallo, succo di melograno, arancia, o panino falafel? – che facciano sentire a proprio agio il turista affaticato.

La contemporaneità dei beduini che stringono i loro smartphone, e tentano di venderti orecchini, sciarpe, incensi, anelli, statuette, tuniche e scarpe, tutto rigorosamente بيشتغل بيد, fatto a mano, stride fortemente con il profilo polveroso della città millenaria.

Le colonne e i templi di Petra sembrano dormire un sonno millenario alle spalle di questa frenesia commerciale tutta moderna, anche se ereditata dal passato.

Vista sulle Tombe dei Re (sullo sfondo) e sul viale di accesso al colonnato di Petra

Anche se con oscillazioni, soprattutto prima della pandemia, il turismo giordano è sempre stato un’importante fonte di guadagno. Prima del 2019 i numeri erano in calo, ma dalla riapertura post-Covid gli ingressi sono aumentati esponenzialmente. Ad influire sugli iniziali cali sono anche le violenze nella regione: seppur la Giordania sia generalmente stabile e sicura, la reputazione dei suoi vicini porta molti turisti a volgere lo sguardo e i soldi altrove.

Recentemente il governo ha implementato una misura che ha sicuramente cambiato la prospettiva turistica sulla Giordania. È possibile acquistare, per 100 euro o poco più, il cosiddetto Jordan Pass. Si tratta di un lasciapassare che include, oltre al visto, uno o più giorni di visita a Petra e l’accesso a tutti i siti archeologici principali della Giordania – oltre 40 luoghi sparsi per il paese. Calcolando che il visto costa 60 euro e il solo ingresso a Petra circa 75, già solo entrando nella capitale Nabatea si fa fruttare al massimo questa ingegnosa mossa di marketing.

I diritti

Gli abitanti originali della regione, che secondo loro discenderebbero direttamente dai Nabatei, sono i beduini Bdoule della tribù Huwaitat. Anche se alcuni studi rivelerebbero la loro provenienza egiziana e che si sarebbero trasferiti nell’area di Petra appena tre secoli fa, rimangono abitanti stabili dell’area che hanno subito le conseguenze della trasformazione di Petra.

Cosa accadde infatti nel 1985, quando il sito venne aperto ufficialmente al turismo?

Le corse su asini, cammelli e cavalli sono una delle fonti di reddito dei beduini che lavorano nel sito di Petra

All’epoca i beduini vivevano ancora nelle caverne disseminate all’interno di Petra. Il sito archeologico non si ferma difatti al Tesoro e al Monastero: anche al turista odierno viene data la possibilità di camminare sulle strade battute, fra alti canyon, attraversando quella che era a tutti gli effetti una capitale ricca e prospera.

Alla decisione del governo di aprire le porte di questa oasi desertica al turismo internazionale, ai beduini viene chiesto di andarsene e di andare a risiedere nel villaggio di Umm Sayhoun – costruito appositamente per loro. A seconda della fonte, questa richiesta di trasferimento sarebbe stata fatta più o meno cordialmente: alcuni parlano di sgomberi veri e propri, mentre altri sostengono sia stata una misura positiva per la popolazione e la regione.

Il villaggio di Umm Sayhoun venne costruito per i beduini, tenendo in considerazione i numeri del 1985. Ad oggi la cittadina risulta sovraffollata e senza possibilità di espansione, tanto che molti beduini avrebbero deciso di tornare a vivere nelle caverne pur di guadagnare nuovamente un po’ di spazio per sé e la propria famiglia.

Se Umm Sayhoun era stato concepito come una gabbia dorata, si può dire che il colore sta sbiadendo, per lasciare soltanto le sbarre di una prigionia senza via d’uscita.

Alcune delle caverne ancora visibili a Petra

Secondo un’inchiesta di Al-Monitor, la parola “sviluppo” è stata spesso associata a quest’operazione del governo giordano. Sia i beduini stessi, che gli abitanti delle terre circostanti, definiscono come positiva la tendenza tutta nuova alla sedentarietà contrapposta al nomadismo. Il vivere in una casa di mattoni e tetto viene percepito come un passo avanti nella grande competizione storico-sociale sul progresso, in una concezione tutta lineare di quello che la parola “sviluppo” potrebbe significare.

In cambio dell’abbandono delle caverne, le popolazioni indigene hanno ricevuto il monopolio totale sulla gestione turistica e commerciale del sito di Petra.

Questa continua a essere la loro terra, ma alle condizioni del governo, e senza il permesso di viverci.

All’interno di Petra i negozi, i ristoranti e tutto ciò che viene venduto è gestito da beduini, che entrano e escono liberamente dal sito archeologico. Solo loro offrono corse sui cammelli e sugli asini, e solo loro preparano delizioso cibo a prezzi esagerati in un posto dove non si può uscire facilmente e ci si ritrova – proprio come in aeroporto – a dover pagare cifre altissime per beni che generalmente sono venduti a meno, ma che in questo specifico contesto di restrizione e urgenza acquisiscono un valore tutto nuovo.

Il Ministero del Turismo avrebbe provato a reagire e limitare maggiormente lo spazio d’azione dei Bdoule, sempre senza successo. I rappresentanti della popolazione hanno sempre fatto ricorso e ottenuto che non venisse intaccato il loro monopolio sull’area.

Non è raro imbattersi in bambini che tentano di vendere qualsiasi pietruzza, ciotolina, cartolina e avanzo dell’antica civiltà Nabatea, in cambio di pochi denari. È successo che molti bambini Bdoule non completassero i propri studi per potersi dedicare alla vendita di souvenir, anche a causa della crescente povertà che aumenta fra i beduini.

Va fatto notare come i diritti violati a Petra non siano solo quelli umani. La PETA ha lanciato diverse petizioni per il rispetto dei diritti delle centinaia di animali che vivono e lavorano, ogni giorno, nel sito archeologico, non sempre in condizioni ottimali.

Cammelli, asini e cavalli sono molto presenti a Petra

Conclusioni

Viene da chiedersi se questo “svendere” le proprie accozzaglie antiche sia un’ottima metonimia per il destino dei Bdoule, costretti a cedere per poco il proprio passato secolare. Oppure se questa sia una lettura semplicistica del destino di un popolo che ha astutamente scelto di esercitare un nuovo tipo di controllo sui propri territori, entrando perfettamente nelle logiche capitaliste e individualiste del nostro millennio, e rigirandole a proprio favore con la diffusa capacità mediorientale a contrattare e commerciare. O, ancora, se l’avidità (o la lungimiranza?) di un governo abbia salvato molti, al prezzo della salvezza di pochi: assicurare ingressi economici per mantenere milioni di rifugiati, ma sacrificando le popolazioni indigene dei propri deserti.

Questo forse non lo sapremo mai con certezza, o forse lo si capirà meglio solo con gli sviluppi dei prossimi decenni.

Quello che rimane sicuro è lo splendore di Petra, una vera e propria regina del deserto, con i suoi corridoi freschi e le spianate torride, con le sue tombe di roccia e i suoi bambini sorridenti, con il suo arancione accecante e le corse dei cammelli che la animano da mattina a sera. Quello che rimane sicuro è che Petra è un luogo senza tempo, ma anche con tutto il tempo dell’universo: voi concedetevi il tempo di perdervici, di immaginarvi a Rakam, la variopinta capitale del deserto, mentre tutto intorno risplende di luce.

Caverne nel sito di Petra

Avana Amadei

Fonti

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