Le strategie turche in un Mediterraneo sempre più conteso

di Beatrice Ala

La Turchia è nuovamente al centro della scena internazionale e si propone come attiva protagonista della competizione geopolitica nel Mediterraneo. Le acque del Mediterraneo orientale sono più che mai agitate: la scoperta di nuovi giacimenti di gas naturale sta spingendo gli stati a un complicato gioco strategico per aggiudicarsi le porzioni migliori. L’ultima manovra si è concretizzata nell’accordo preliminare tra Libia e Turchia per l’esplorazione di idrocarburi, firmato a Tripoli lo scorso 3 ottobre e inquadrato nel precedente memorandum d’intesa del 2019. Ankara ha infatti firmato con il Governo di Unità Nazionale libico (GNU), guidato da Abdul Hamid Dbeibeh, un accordo che definisce i termini di una cooperazione marittima utile a garantire la partecipazione nell’utilizzo delle risorse a largo del Mediterraneo. La Turchia di Erdogan avrebbe così la possibilità di esplorare le acque libiche e di sfruttarne le risorse in cooperazione con le compagnie libiche.

Per Libia e Turchia l’accordo simboleggia un’opportunità importante per ritagliarsi uno spazio di potere nei contrasti mediterranei.

Firma dell’accordo tra la ministra degli esteri del governo di Tripoli Najla Al-Mangoush e il suo omologo turco Mevlüt Çavuşoğlu. Alle spalle il premier di Tripoli, Dbeibah
Fonte: Nigrizia

Quali vantaggi?

Da parte sua, la Turchia riafferma la sua volontà di allargare sempre di più la sua area di influenza: lo sfruttamento di un tratto di mare così esteso è un’ulteriore freccia al suo arco. La proiezione turca nel Mediterraneo infatti serve tre interessi principali. In primo luogo, Ankara punta ad estendere il controllo territoriale nelle acque sempre più contese del bacino orientale, allargandosi -è il caso di dirlo- a macchia d’olio. I benefici derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti libici costituiscono il secondo motivo: permetterebbero alla Turchia di imporsi come hub energetico regionale di fondamentale importanza strategica. Ankara trarrebbe dei vantaggi non indifferenti nel diventare il nuovo fornitore energetico dell’Europa, stretta nella crisi energetica conseguente alla guerra Ucraina. Infine, il momento è particolarmente opportuno per Erdogan, che si presenterebbe alle elezioni del 2023 forte del successo dell’accordo.

D’altra parte, Dbeibah ricaverebbe dall’amicizia con Ankara dei vantaggi non solo economici ed energetici, ma soprattutto politici. La situazione politico-militare in Libia è infatti precaria e potenzialmente esplosiva. Il leader tripolino è incalzato dal rivale Fathi Bashaga, uomo scelto come premier dal Parlamento di Tobruk e insediatosi a Sirte in attesa di prendere ufficialmente il potere. Dbeibah è considerato dai parlamentari della Cirenaica un premier ormai illegittimo dopo aver annunciato le proprie dimissioni in vista delle successive elezioni, per altro mai avvenute. Per Dbeibah, l’appoggio non solo diplomatico ma anche militare di Ankara è essenziale per restare al potere. Ad evitare la caduta del leader tripolino fino a oggi è stato proprio il sostegno offertogli dalla Turchia, decisivo anche durante gli scontri scoppiati a fine agosto che si sono conclusi con il ritiro delle forze fedeli a Bashaga.

Quali reazioni?

Ma mentre gli interessi economici sembrano essere solo accessori nel conflitto interno libico, perlopiù focalizzato sul fronte politico e militare, gli echi dell’accordo provocano frizioni a lungo raggio a livello internazionale. Il fronte della Cirenaica è infatti sostenuto dall’Egitto: Abdel Fattah al-Sisi teme le ripercussioni geopolitiche del memorandum turco-libico, che andrebbe a rafforzare l’avversario Dbeibah e la posizione turca nello scacchiere libico.

L’accordo turco-libico ha suscitato diverse altre reazioni negative, poiché quelle stesse acque sono rivendicate da Grecia, Egitto e Cipro come parte delle loro Zone Economiche Esclusive. Secondo quanto stabilito dalla Convenzione di Montego Bay del 1982, che regola il diritto del mare, le Zone Economiche Esclusive degli Stati costieri si estendono fino a 200 miglia marine dalla linea della costa. Nelle ZEE, lo Stato gode di “diritti sovrani ai fini dell’esplorazione, dello sfruttamento, della conservazione e della gestione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche, che si trovano nelle acque soprastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo”. Tuttavia, la Turchia non ha firmato né ratificato la Convenzione e non è quindi vincolata dalle norme internazionali da essa poste.

Fonte: Limes

Cipro è stato il primo Stato a far sentire la sua voce contro l’accordo. Il contrasto sul memorandum è solo l’ultimo in ordine cronologico tra Ankara e Nicosia, che condividono già da tempo una storia travagliata: l’isola è divisa di fatto tra la Repubblica Cipriota e la Repubblica Turca di Cipro Nord. Quest’ultima però, essendo un territorio occupato e rivendicato dalla Turchia, non è riconosciuta dalla comunità internazionale. Al momento è solo Ankara a riconoscere la sovranità di Cipro Nord, mentre il governo di Cipro sud è riconosciuto dalla comunità internazionale come governo legittimo di tutta l’isola. A rendere l’isola un obiettivo ancora più ambito sono gli importanti giacimenti di gas naturale scoperti nelle acque di Cipro. Ad Ankara preme mettere un piede sull’isola: sostenendo la Repubblica di Cipro Nord, la Turchia favorisce la partecipazione dei ciprioti turchi nella gestione delle riserve, che le permetterebbe di garantire i propri interessi nella regione. Dall’altra parte Nicosia ha approfittato del vantaggio strategico che i giacimenti di risorse naturali le apportano. Cipro, riscopertasi centro nevralgico del Mediterraneo orientale, ha stretto le sue maglie creando una Zona Economica Esclusiva condivisa con Egitto e Israele, con tanto di concessioni ad imprese energetiche europee.

Tra le preoccupazioni turche vi è anche il progetto EastMEd: il gasdotto offshore/onshore per il gas naturale, attualmente in fase di progettazione, collegherebbe direttamente riserve di gas off-shore nel Bacino Levantino alla Grecia continentale attraverso Cipro e Creta. Il gasdotto, collegandosi alle altre pipelines come Poseidon su territorio turco-greco e IGB nei Balcani, trasporterebbe gas naturale in Italia e in altre regioni europee. Lo scopo di Ankara è quindi quello di bypassare il governo di Cipro nello sfruttamento delle risorse di idrocarburi presenti al largo dell’isola.

Israele, dal canto suo, ha appena concluso uno storico accordo con il Libano per una nuova definizione dei loro confini marittimi e per le conseguenti opportunità di sfruttamento delle risorse naturali (ne avevamo parlato qui). L’accordo prevede che Beirut riceva la maggior parte del giacimento di gas naturale di Qana, mentre Tel Aviv ha ottenuto il controllo totale sul giacimento di Karish. In molti sono scettici riguardo i reali benefici che questo accordo porterà al Libano, che dovrà aspettare anni per godere dei ricavi dello sfruttamento parziale del giacimento. La corsa all’oro blu è tanto frenetica quanto irregolare: le divisioni tracciate sono solo funzionali alla spartizione dei giacimenti, ma non rispettano alcuna legge internazionale di definizione dei confini. Tuttavia, per due paesi ancora formalmente nemici come Libano e Israele, un accordo economico del genere nel quadro irrequieto del Mediterraneo si conferma una notevole mossa strategica.

Le strategie nel bacino orientale del Mediterraneo hanno quindi spinto Turchia e Libia una verso l’altra, per contrastare l’isolamento energetico e salvaguardare i propri interessi nell’area. Turchia e Libia avevano firmato nel 2019 un memorandum gemello, con cui i due stati si accordavano per sfruttare le risorse di una porzione di Mediterraneo tra le coste sud-orientali della Turchia e quelle nord-orientali della Libia. Come ora, lo scorso memorandum aveva provocato la reazione avversa degli Stati terzi coinvolti e dell’Unione Europea, che lo aveva giudicato contrario al diritto internazionale in quanto

“viola i diritti sovrani di Stati terzi, non rispetta il diritto del mare e non può produrre alcuna conseguenza giuridica per Stati terzi.”

Alle autorità libiche è stato chiesto di annullare il memorandum d’intesa siglato nel 2019 e di non applicare alcuna clausola inclusa in questo successivo accordo, in quanto prevede attività di perforazione illegali nelle Zone Economiche Esclusive di altri Paesi, comprese quelle di Cipro e della Grecia. L’Europa teme che un accordo simile possa costituire un precedente la contestazione formale di leggi e trattati internazionali, in un fazzoletto di acque già gravate da fortissime tensioni.

In conclusione, le ultime convulse vicende rendono evidente quanto il Mediterraneo non sia solo appannaggio delle politiche europee, anzi. L’oro blu è diventato l’elemento scatenante di diverse tensioni e conflitti latenti nell’area orientale, dove brulicano interessi contrastanti di molteplici attori. La sovrapposizione di confini internazionali, spartizioni arbitrarie, interessi strategici e la frenetica corsa all’approvvigionamento energetico rendono il Mediterraneo orientale il nuovo teatro degli scontri geopolitici. In questa Babele spiccano le abili strategie della Turchia, che si proietta con ambizione nelle acque mediterranee. I molteplici interessi turchi in diversi Stati -Russia e Siria per citare i più importanti- sono un’ulteriore conferma della tentacolare strategia di Ankara. La Turchia punta ambiziosamente a conquistare quanto più territorio possibile, nell’ottica di un’espansione dell’influenza sempre maggiore.

Beatrice Ala


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