Il cinema turco: storia del “Verde pino”
Il cinema turco, Türk sineması, è oggi un importante strumento di soft power che grazie ai suoi prodotti, spesso di dubbia se non scadente qualità, contribuisce a diffondere la cultura turca oltre i confini dello stato. Dai Balcani all’Est Europa, passando per il mondo arabo e in misura minore attraverso le altre aree geografiche del pianeta, il cinema e le serie tv turche intrattengono sempre più il pubblico degli espatriati ma anche dei non parlanti turco. Sempre più spesso infatti, anche nel nostro quotidiano, facendo zapping in televisione ci imbattiamo in prodotti turchi, senza forse nemmeno saperlo.
Nonostante il cinema turco oggi sia diffuso in tutto il mondo e si possa pensare che derivi da una lunga tradizione cinematografica, la sua storia è abbastanza recente. Come per molti altri paesi della regione MENA, il cinema iniziò a muovere i primi passi sul finire dell’Ottocento quando le prime proiezioni dei lavori dei Fratelli Lumière furono mostrate a un ristretto pubblico. Fu tuttavia all’inizio del Secolo breve che vennero prodotti i primi cortometraggi e documentari all’interno del decadente Impero Ottomano.
The Weavers dei fratelli Manaki (1905), fu il primo di questo genere: si tratta di un breve girato di sessanta secondi che documenta le zie e la 114enne nonna dei fratelli mentre filano la lana. Nono stante questi primi esperimenti però, fino al secondo dopoguerra le produzioni furono limitate e il cinema diffuso nell’Impero Ottomano (prima) e in Turchia (dopo) fu quasi esclusivamente frutto dell’importazione di prodotti occidentali. Negli anni che precedettero la seconda guerra mondiale, vennero realizzati alcuni documentari quali Ayastefanos’taki Rus Abidesinin Yıkılışı (Demolition of the Russian Monument at San Stefano) del 1914 o film come The Spy di Sadat Simavi del 1917, primo girato di finzione dell’industria cinematografica turca.
Questi anni furono caratterizzati soprattutto dalla presenza di alcune società di importazione cinematografica legate a famiglie di notabili locali, che contribuirono alla diffusione del mezzo cinematografico in Turchia molto più che alla diffusione del cinema turco. Un esempio di queste società è rappresentato da İpek Film, una società figlia della İpek Merchandise, una società dedita all’importazione di prodotti stranieri e che già nel 19esimo secolo pubblicizzava riviste letterarie ottomane come Servet-i Fünun. Queste società d’importazione di pellicole straniere rappresentavano i principali distributori cinematografici dell’epoca e le uniche imprese che si potevano permettere sforzi produttivi consistenti senza rischiare il fallimento, erano loro infatti a detenere le redini del sistema di distribuzione nazionale e possedevano catene teatrali dove poter diffondere i film importati, catene che quindi garantivano un ritorno sull’investimento. Un sistema non dissimile da quello statunitense.
Fu grazie all’impulso di queste società che il cinema turco adottò negli anni Trenta il sonoro e che venne costituito un vero e proprio sistema di distribuzione definito “sistema regionale” (Bölge İşletmeleri). Si trattava di un sistema di distribuzione suddiviso in sette regioni facenti riferimento alle principali città delle regioni: Istanbul (Regione di Marmara), Smirne (Regione Egea), Ankara (Regione dell’Anatolia centrale), Samsun (regione del Mar Nero), Adana (regione mediterranea), Erzurum (regione dell’Anatolia orientale) e Diyarbakır (regione dell’Anatolia sudorientale). L’istituzione di questo sistema divenne particolarmente importante dopo gli anni cinquanta, in quella fase del cinema turco conosciuta come Yeşilçam (letteralmente “pino verde”), quella che venne descritta come la Hollywood turca, il cuore della produzione cinematografica turca tra il 1955 e il 1975. La fase di costituzione del sistema regionale, quella fase di transizione che precedette gli anni Cinquanta pose le basi per quello che poi divenne il periodo più florido per il cinema turco, un periodo fortemente influenzato dai trust regionali che presero il controllo capillare di tutta la fase produttiva.
Negli anni Cinquanta il cinema turco iniziò a essere osservato con maggior rispetto anche dal mondo della critica specializzata. Nacque in questi anni la Hollywood turca o Yeşilçam, dal nome di una via (Yeşilçam street) situata nel distretto e comune di Beyoğlu a Istanbul. Lungo questa via infatti, erano soliti vivere gran parte degli attori, registi e maestranze dell’industria cinematografica; Yeşilçam street era il cuore pulsante del cinema turco, dove regnavano gli studi di produzione. Durante questi anni furono prodotti tra i 250 e i 300 film all’anno. La Hollywood turca vide incrementare costantemente il numero di spettatori, contribuì a far nascere archivi di stato (e privati) e diede un decisivo impulso alla formazione accademica per le future maestranze dell’industria. Durante questi anni il cinema turco riuscì anche a varcare i confini nazionali conquistando anche le platee dei principali festival europei: un esempio fu Susuz Yaz (Estate secca) di İsmail Metin Erksan del 1964 che vinse l’orso d’oro al Festival di Berlino. Sempre in questa fase storica, emersero le stelle più lucenti e ancora oggi più note del cinema turco: da Kadir İnanır a Kemal Sunal, passando per Türkan Şoray e Şener Şen. Gli anni Cinquanta in definitiva furono estremamente floridi e proficui, in questa sorta di belle époque in salsa turca i film prodotti rimasero ancorati nelle menti degli spettatori soprattutto grazie alle colonne sonore iconiche e di grande successo.
Tuttavia, anche Yeşilçam entrò in crisi e sul finire degli anni Settanta cominciò ad apparire sempre più come il fantasma di sé stessa. La diffusione della televisione, la violenza politica che colpì la Turchia negli anni Settanta, l’aumento dei costi di produzione e le difficoltà a importare nuovi prodotti di qualità minarono fortemente la stabilità e la fama della Hollywood turca. Il colpo di stato del 1980 mise una pietra tombale su quest’epoca. Il numero dei film prodotti calò drasticamente fino a raggiungere i 3 o 4 di media annuali degli anni Novanta. Nonostante lo strenuo impegno di registi come Şener Şen che si batté per anni nel tentativo di tenere in vita la Hollywood turca, il Pino Verde perse le sue foglie. La sua natura da pianta sempreverde venne meno e nuove gemme non comparsero prima del 2001. Con l’uscita di Vizontele, scritto, diretto e interpretato da Yılmaz Erdoğan, l’attenzione del pubblico verso il cinema turco tornò a farsi sentire. Il film, basato sui ricordi del regista è una commedia ambientata negli anni Settanta: in una piccola città nella regione di Hakkari arriva un televisore e il sindaco vuole installare un ricevitore per il segnale televisivo. un folle elettricista locale è il prescelto per dargli una mano. Questo lungometraggio scanzonato si dimostrò essere un enorme successo commerciale attirando l’attenzione dell’industria e facendo da apripista a una serie di nuovi film dal budget più consistente.
Negli ultimi anni sono aumentate in maniera consistente le produzioni turche, soprattutto di film commerciali, e vi è stata una riscoperta delle serie tv capaci di travalicare i confini nazionali ed essere esportate in tutto il mondo. Nonostante la qualità di questi prodotti non sia sempre eccellente (a voler essere generosi), il cinema turco, soprattutto quello indipendente, è riuscito a regalare alcuni gioielli che ogni appassionato di cinema dovrebbe scoprire. Tra i registi più interessanti vi è sicuramente Nuri Bilge Ceylan, pluripremiato al Festival di Cannes con Usak (2002), Le tre scimmie (2008), C’era una volta in Anatolia (2011) e vincitore della Palma d’oro con Il regno d’Inverno – Winter Sleeps (2014).
Luigi Toninelli
Fonti:
- Savaş Arslan: Cinema in Turkey: A New Critical History, Oxford University Press, 2010.
- Gönül Dönmez-Colin: Turkish Cinema: Identity, Distance and Belonging, Reaktion Books, 2013.