La regione MENA e la sua crisi climatica

Se è vero che i cambiamenti climatici hanno da sempre interessato la storia del Pianeta Terra, quello a cui assistiamo da circa 150 anni si distacca dal corso naturale delle cose e viene definito “effetto serra antropico”, ovvero causato dall’uomo: dopo la Rivoluzione Industriale ogni anno milioni di tonnellate di anidride carbonica e gas serra vengono rilasciate nell’atmosfera, aumentando del doppio la presenza di CO2 e contribuendo in maniera massiccia al surriscaldamento del Pianeta.
Una delle regioni più colpite dai cambiamenti climatici e al contempo tra le meno pronte a gestirne le conseguenze è la regione MENA (Middle East and North Africa): secondo il Fondo Monetario Internazionale, qui negli ultimi 30 anni le temperature sarebbero aumentate di 1,5°C, il doppio rispetto all’aumento osservato a livello globale, e come se non bastasse in una zona già profondamente segnata da desertificazione e stress idrico le precipitazioni stanno diventando ancora più scarse e irregolari.

Il Programma ambientale dell’Onu calcola che nelle regioni interessate il cambiamento climatico stia uccidendo una media annua di 230 mila abitanti e si pensa che prima della fine del secolo molte città potrebbero diventare inabitabili – non a caso sono già numerosi gli scenari di luoghi di villeggiatura ormai diventati lande di polvere e terra, oppure di zone che hanno raggiunto temperature fino a 53,2°C.

E’ risaputo che l’acqua sia già di per sé una risorsa scarseggiante in quest’area del Pianeta, di fatti qui si contano 14 dei 20 Paesi più stressati dal punto di vista idrico al mondo e il 90% della regione si trova in zone aride o semi-aride. Il direttore dell’ufficio regionale del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo degli Stati arabi, Mourad Wahba, ha dichiarato che i cicli di siccità dell’ultimo decennio sono però più gravi e frequenti del previsto e hanno contribuito “alla carestia e all’insicurezza alimentare, alla perdita di mezzi di sussistenza e di vite umane e allo sfollamento di milioni di persone”.

Negli anni a venire è previsto un ulteriore peggioramento della situazione idrica, ma l’impatto non sarà però omogeneo per tutti i paesi interessanti: se l’approvvigionamento idrico di Israele è in buona parte resistente ai cambiamenti del clima grazie ad un funzionale sistema di desalinizzazione e riciclo delle acque reflue, in Cisgiordania i disordini sociali e le restrizioni imposte da Israele stesso limitano il funzionamento delle infrastrutture in grado di raccogliere e distribuire acqua mentre la Giordania, considerato uno dei Paesi del mondo che più soffre dal punto di vista idrico, per far fronte alla forte crescita demografica e al conseguente aumento di domanda di acqua continua ad estrarre dalle falde acquifere molta più di quella che viene poi riassorbita dal terreno.

Inutile dire che il cambiamento climatico trascende i confini politici e gli interessi economici, e che per trovare soluzioni è dunque richiesto uno sforzo di collaborazione: ad esempio, da un lato la Giordania potrebbe fare meno affidamento alle sue – scarse – risorse idriche e compensare il fabbisogno energetico con fonti di energia solare, che potrebbe offrire a Palestina e Israele in cambio di forniture d’acqua.

Tra gli effetti più evidenti del cambiamento climatico vi è l’aumento di tempeste di sabbia, fenomeni atmosferici molto usuali nelle regioni aride del Pianeta, originati da forti venti che sollevano grandi quantità di sabbia e polveri.

Nel 2022 sono state straordinariamente frequenti, soprattutto in Iraq, dove tra Aprile e Maggio se n’è stata registrata una quasi ogni settimana. La maggiore frequenza e intensità sono indubbiamente legate all’aumento delle temperature, all’eccessivo sfruttamento delle risorse idriche che contribuisce alla scarsità d’acqua, all’utilizzo di dighe e alla deforestazione, così come all’urbanizzazione che negli ultimi 17 anni ha contribuito alla perdita di più di due terzi della vegetazione del paese.
A tal proposito il ministero dell’Ambiente iracheno afferma che andando avanti di questo passo l’Iraq potrebbe registrare 272 giorni all’anno con tempeste di sabbia e arrivare addirittura a 300 entro il 2050.

Tra gli aspetti negativi che le tempeste di sabbia portano con sé vi è quello legato alla salute umana: in base alla loro dimensione, le particelle di sabbia possono essere più o meno dannose e causare irritazione a pelle e occhi oppure, nel peggiore dei casi, nuocere il sistema respiratorio ed entrare nella circolazione sanguigna danneggiando direttamente gli organi interni.
Oltre alla salute le tempeste e, in generale, il cambiamento climatico, colpiscono anche l’economia dei paesi interessati, danneggiando infrastrutture e distruggendo colture, uccidendo il bestiame e andando così a creare un forte innalzamento dei prezzi relativi alla produzione e al trasporto alimentare.

In uno scenario già di per sé complicato che vede la regione MENA essere, da decenni, terra di conflitti, a contribuire alla creazione di situazioni di tensione si aggiungono le lotte per accaparrarsi le riserve idriche. Anche la riduzione delle precipitazioni, la conseguente diminuzione dei flussi di importanti fiumi come l’Eufrate il Giordano e l’innalzamento del livello dei mari che porteranno a una perdita di terreni fertili coltivabili sono aspetti che contribuiranno all’instabilità economica e al sorgere di nuovi conflitti. Di fatto si calcola che gli effetti sull’agricoltura faranno sì che entro il 2050 le regioni interessate dovranno importare oltre la metà del fabbisogno agricolo, perdendo circa il 14% del loro PIL.

La Banca Mondiale stima che 19 milioni di persone diventeranno rifugiati interni che abbandoneranno le campagne creando megalopoli ingestibili, dove la situazione sarà sempre più critica – tra le città più a rischio vi sono Casablanca, Rabat, Algeri, Tunisi e Il Cairo – mentre secondo l’istituto tedesco Max Planck, un quarto delle città del Medio Oriente potrebbero non essere più abitabili entro la fine del secolo.
Le gravi disuguaglianze che già caratterizzano la regione non faranno che aumentare, e come spesso accade saranno soprattutto i più poveri a pagarne il conto, ma la crisi riguarda anche i Paesi ricchi come le monarchie del Golfo, dove il consumo d’acqua pro capite è estremamente più elevato di quello di un cittadino britannico.

Possono essere messe in atto delle reali soluzioni?

La prima edizione della Mena Climate Week tenutasi a Dubai dal 28 al 31 marzo ha visto riunirsi i rappresentanti dei Paesi appartenenti alla regione per discutere delle crescenti minacce e di come affrontarle. La scelta della location come luogo di incontro lascia un po’ perplessi, soprattutto pensando che solo il Burj Khalifa consuma così tanta elettricità da avere bisogno di una sua centrale elettrica al 150esimo piano.

In ogni caso ad oggi la maggior parte dei Paesi di Nord Africa e Medio Oriente riconosce che le politiche climatiche debbano essere una priorità assoluta: è fondamentale garantire che esse vengano messe al primo posto nelle strategie nazionali, ma i Paesi interessati fanno ancora troppo affidamento sui combustibili fossili e non danno alla transizione energetica, con i suoi benefici che vanno al di là del clima, l’importanza che merita: un sistema energetico basato sulle energie rinnovabili potrebbe migliorare la sicurezza dei Paesi, creare posti di lavoro e promuovere la parità di genere. Inoltre, sfruttando solo il 5% del potenziale delle energie rinnovabili, si potrebbe coprire metà del fabbisogno di elettricità della regione MENA entro il 2050. Gli investimenti sono però ancora molto bassi, per questo si sta pensato a un quadro normativo in grado di attrarre gli investimenti e sensibilizzare sui potenziali benefici della transizione energetica.

Esempi concreti sono già stati messi in atto da Paesi come il Marocco, che ha rafforzato le sue strutture idriche e ha migliorato la capacità di far fronte alla siccità, con investimenti che ridurrebbero di quasi il 60% le perdite del prodotto interno lordo (PIL), mentre la Tunisia ha cominciato così a sviluppare la capacità di produrre acqua dolce mediante dissalazione.

Alessandra Soldi


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