Mustang, la voce femminile alle redini della libertà
Mustang: «piccolo cavallo selvatico delle praterie americane (…) dallo spagnolo messicano mestengo, animale che si perde, si smarrisce, selvaggio, randagio, senza padrone». Sarebbe questa, in parte, l’etimologia della parola che dà titolo al primo film della regista turca Deniz Gamze Ergüven. nUscito nelle sale nel 2015, Mustang, ha ricevuto varie nomination come quella di Miglior film straniero nel 2016 ai Golden Globes e ha vinto, sempre quell’anno, il premio di Miglior opera prima ai Cesar oltre a molti altri meriti.
Mustang è un film che parla di donne che sfidano il patriarcato: un tema banale? Sono consapevole che quando si parla di cinema mediorientale o di autrici e autori che sono nati in questa parte di emisfero quello della misoginia, del maschilismo, del patriarcato, appunto, possano diventare temi per i quali il lettore, anche quello più accanito e interessato, alzi gli occhi al cielo e dica fra sé e sé: «ancora? Si deve parlare solo di quello?». Non sentitevi in colpa se l’avete fatto perché riflettendo su quale film recensire anche io ho avuto i miei dubbi: «non sarà l’ennesimo articolo che parla di donne contro uomini e uomini contro donne in un paese dove è palese non si possa vivere in una società egualitaria in santa pace?» mi sono chiesta; poi, dopo aver messo in ordine le parole e riformulato questa domanda più e più volte in altri modi mi sono resa ben presto conto che «no», perché questa diseguaglianza non appartiene solo a quella parte di mondo che vediamo da un punto molto distorto ma alla società globale. Certo, gli estremi sono estremi ma sono convinta che in questo film tanti potranno ritrovare un passato (e forse un presente) che appartiene a più comunità rurali (e anche cittadine) non molto distanti da casa e nemmeno lontane nel tempo.
Mustang è la storia di cinque ragazze fra i 12 e i 16 anni, delle sorelle nel pieno dell’adolescenza e per alcune di quel momento molto delicato e innocente della scoperta della sessualità. Una fase naturale della vita che fa accrescere in loro il desiderio di sperimentare e conoscere il mondo all’esterno delle mura di casa. Questa pulsione, però, verrà repressa nel momento in cui lo zio e la nonna decidono di chiuderle o, meglio, barricarle in casa per evitare scandali dopo che sono state viste giocare al mare con dei coetanei.
La storia si sviluppa attraverso lo sguardo della più piccola delle protagoniste, Lale (interpretata da Güneş Nezihe Şensoy) che a dodici anni si stanca di dover rimanere zitta e inerme davanti alle delusioni, i dolori e gli addii di ognuna delle sue sorelle alle quali vengono impartite punizioni aberranti o comandati matrimoni di convenienza. I fidanzamenti diventano l’unica opzione contemplata per aprire la porta sulla “libertà” permettendo di uscire da un’abitazione che si è fatta carcere. È sempre con gli occhi di Lela che assistiamo però anche alla rinascita: lei stessa, figura ribelle e combattiva, proprio come quel cavallo mustang della pampa americana, uscirà dal suo silenzio e prenderà le redini di un destino senza speranze trovando il modo di spezzare le sbarre di quella prigione patriarcale che ha tolto infanzia e vita a lei e alle sorelle.
Una citazione, molto ben riuscita, è quella a Offside di Jafar Panahi: Lela convince le sue sorelle ad andare a vedere una partita di calcio sapendo che lo zio non lo permetterebbe mai poiché lo ritiene uno sport inappropriato per delle adolescenti; proprio come Panahi nel 2005 metteva in scena i diritti delle donne iraniane, alle quali la legge proibisce di entrare allo stadio, facendo vestire la sua protagonista da ragazzo per poter aggirare quel divieto tanto obsoleto. Altro parallelismo, secondo la critica spagnola, è quello a Il giardino delle vergini suicide, 1999: Ece, la sorella maggiore (interpretato dall’attrice Elit İşcan) ricorda in tutto e per tutto quello di Kirsten Dunst nel film d’esordio di Sofia Coppola che ricalca quello di un’adolescenza sacrificata fatta di regole e divieti di cui il tragico epilogo è espresso nel titolo.
La critica spagnola si dimentica, però, di un’opera maestra della sua letteratura: La casa di Bernarda Alba, scritta nel 1936 da Federico García Lorca. Si tratta di un testo pensato per il teatro in cui si svolge una tragedia in tre atti ambientata in Andalusia tra le mura di una casa rurale: una madre dispotica impone un lutto estenuante in seguito alla morte del marito impedendo alle sue figlie di uscire. Nelle parole di Lorca si rivive quel patibolo di asfissia lenta e logorante che toglie la vita alle ragazze, proprio come in Mustang le inferriate alle finestre si alzano scure ed imponenti in alcuni frammenti.
Mustang è un grido alla libertà tenuto alle redini da una voce femminile contro un governo turco che con Erdogan ha iniziato ad essere sempre più conservatore: si parla di una doppia Turchia, quella laica di Atatürk simbolizzata dalla moderna Istanbul in cui le ragazze si rifugiano, e quella tradizionale e chiusa da cui scappano.
Il film è ancora reperibile sulla piattaforma online Mubi.
Erika Nizzoli