Il fenomeno delle proteste in Iran dal 1979 ad oggi

di Gaia Facchini

Quando si parla di Iran, il riferimento alle proteste che stanno investendo il paese a seguito della morte della giovane Mahsa Amini è inevitabile. Tuttavia, i disordini popolari di opposizione allo status quo non sono una novità, bensì un fenomeno ricorrente nella storia della Repubblica Islamica Iraniana. Dopo la Rivoluzione del 1979, che ha portato alla caduta del regime di Pahlavi cambiando il volto del paese, l’Iran ha affrontato una serie di proteste che sono divenute un fenomeno ciclico. Inizialmente queste manifestazioni si sono verificate sporadicamente con lunghi intervalli di tempo tra di loro, come ad esempio un periodo di 10 anni tra il 1999 e il 2009, e 8 anni tra il 2009 e il 2017. Tuttavia, negli ultimi anni, a partire dal 2017, le proteste si sono intensificate sia in termini di frequenza che di estensione geografica.

Questo aumento ha comportato una graduale diminuzione del sostegno della popolazione nei confronti della Repubblica Islamica. Analizzeremo brevemente di seguito i fatti delle principali proteste degli ultimi 40 anni, affrontando successivamente i modi di protestare e come il regime ha reagito.

Le proteste studentesche del ’99

Nel 1999, in un clima in cui i conservatori cercavano di indebolire il Presidente Khatami (che aveva vinto le elezioni nel ‘97 a spese del candidato sostenuto dal governo e dalla Guida della Rivoluzione), il Majlis, il parlamento, approvò una legge di censura sulla stampa, vietando ad agenti stranieri, spie e membri di gruppi controrivoluzionari di lavorare nella stampa iraniana. Il giorno seguente, Salaam, un giornale riformista, pubblicò una lettera insinuando che dietro questa legge repressiva ci fosse il ministro dell’Intelligence; di conseguenza, il giornale venne rapidamente chiuso, provocando le proteste degli studenti.

Gli studenti, protagonisti principali di questa protesta, occasionalmente affiancati da donne e bambini, chiesero maggiori libertà di stampa, riforme politiche, maggiore apertura sociale e culturale, ma anche la liberazione dei prigionieri politici, la promozione di trasparenza e responsabilità all’interno delle organizzazioni statali, e l’avvio di indagini pubbliche sulle attività di intelligence e sicurezza dirette contro i dissidenti. Le proteste durarono diversi giorni, con manifestazioni, scontri, arresti e incarcerazioni, e aventi come fulcro la capitale Teheran.

Il movimento verde del 2009

Più avanti, nel 2009, in seguito alle contestate elezioni presidenziali, è emerso il c.d. Movimento Verde. Con un’affluenza alle urne da record, Ahmadinejad, candidato conservatore per un secondo turno, vinse in modo travolgente. Ci furono però accuse di irregolarità, soprattutto data l’affluenza giovanile, che storicamente aveva favorito i riformisti. Una volta iniziate le proteste, i manifestanti richiesero non solo maggiore libertà politica e riforme democratiche, ma anche le dimissioni del presidente e la caduta della Guida Suprema Khamenei. Esistevano profonde preoccupazioni per il futuro della nazione, dato che gli integralisti tentavano di aggirare l’aspetto di “repubblica” della Repubblica islamica dell’Iran, già da tempo indebolita da una diffusa messa al bando dei candidati e da potenti organi di stato non eletti. Quella che si diffuse nel paese fu un’ondata di proteste verde, colore per eccellenza dell’Islam, adottato in precedenza nella campagna del candidato riformista Mousavi e utilizzato come simbolo di opposizione al governo.

Foto di una donna che regge un cartello “Mio fratello è stato ucciso perché ha chiesto: “Dov’è il mio voto?”. Teheran, 17 giugno 2009
Fonte: https://www.semanticscholar.org/paper/Green-Movement%7C-Thirty-Years-Later%3A-Iranian-Visual-Rauh/371a8dc45fe339b0fbe788e095499a166a40a4d6

Le dey-protests

Nel 2017, a causa dell’aumento del prezzo dei generi alimentari di prima necessità, scoppiarono delle proteste a Mashhad, seconda città più grande del paese. Queste furono diverse dalle precedenti per la loro estensione geografica (compresero circa 100 città in tutto il paese) e per gli slogan più radicali. I manifestanti espressero la loro insoddisfazione riguardo all’inflazione, all’eccessiva disuguaglianza economica e alla malagestione del governo. A differenza del Movimento Verde, queste proteste hanno coinvolto principalmente la cosiddetta “classe media povera”, istruita, digitalmente connessa, desiderosa di uno stile di vita da classe media ma che invece lotta con l’impoverimento.

Donna, vita e libertà

Arriviamo ora ai recenti disordini. Iniziate nel 2022, a seguito della morte di Mahsa Amini, una ragazza curda, le proteste hanno superato le tensioni sociali e le divisioni di classe all’interno del paese, assumendo una dimensione etnica.

Nelle proteste tuttora in corso, le donne hanno assunto il ruolo di iniziatrici e protagoniste, protestando principalmente contro l’applicazione delle leggi sull’hijab obbligatorio. Successivamente hanno ottenuto il sostegno di una parte significativa della popolazione iraniana, che chiede libertà individuali, la salvaguardia dei diritti civili e politici e la rimozione del presidente Raisi dal potere. Non c’è solo malcontento nei confronti del sistema politico e sociale: il deterioramento delle condizioni economiche e ambientali dell’Iran hanno perpetuato un pervasivo senso di sfiducia e desiderio di miglioramento tra la popolazione.

Le proteste non solo sono cresciute significativamente in senso geografico e numerico, ma hanno anche abbandonato il loro programma riformista iniziale, evolvendosi verso la richiesta di un completo rovesciamento della Repubblica Islamica, adottando un approccio più violento e secolarizzato. In tutte le proteste, l’opposizione al regime è stato il tema predominante, indipendentemente dalle specifiche cause che le hanno scatenate. Infatti, tutti questi episodi si sono gradualmente trasformati in manifestazioni di malcontento più ampie e comprensive.

Come si protesta?

Nel corso della storia iraniana, le richieste e le motivazioni dei manifestanti sono state espresse chiaramente attraverso il ruolo predominante assunto dagli slogan. Gli slogan sono stati espressioni chiare delle aspirazioni dei manifestanti e mezzo di unificazione e solidarietà tra di loro. Alcuni degli slogan più diffusi sono stati: “Marg ba diktator” (abbasso il dittatore), che riprende gli slogan “Marg bar Shah” (Abbasso lo Shah) e “Marg bar Amrika” (Abbasso l’America) utilizzati durante la Rivoluzione del ‘79; “morte a Khamenei”, la Guida Suprema; “allahu akbar”, iconica frase del Movimento Verde, che i manifestanti hanno fatto riecheggiare dai tetti, come nel periodo pre-rivoluzionario per sostenere Khomeini e, nel 2009, per esprimere l’opposizione al sistema da lui fondato.

Per quanto riguarda i media, mentre nel ‘99 i mezzi di stampa hanno svolto un ruolo cruciale nella diffusione delle proteste, a partire dal 2009 i social media sono emersi come protagonisti principali, consentendo alla lotta dei manifestanti di risuonare a livello globale. Inoltre, l’arte visiva è stata utilizzata come mezzo per trasmettere messaggi di protesta. Le scritte sui muri e i graffiti politici, che hanno una storia radicata come forma di resistenza artistica, sono diventati insieme ai colori un mezzo di mobilitazione e propaganda.

Fonte: https://www.semanticscholar.org/paper/Green-Movement%7C-Thirty-Years-Later%3A-Iranian-Visual-Rauh/371a8dc45fe339b0fbe788e095499a166a40a4d6

Come ha reagito il regime?

Il regime negli anni ha risposto alle proteste con un aumento progressivo di violenza e repressione. A ogni ondata, la Repubblica Islamica ha rafforzato le misure repressive, potenziando il proprio arsenale in vista delle successive proteste. Nonostante le repressioni del regime abbiano effettivamente soffocato le proteste, queste azioni hanno allo stesso tempo alimentato la rabbia e la determinazione del popolo iraniano.

Per concludere, nel corso della sua storia, la Repubblica islamica è riuscita a resistere e a persistere nonostante le ondate di protesta, sfidando le ricorrenti previsioni di una sua caduta. E’ imperativo monitorare da vicino come il corso e le ripercussioni delle attuali proteste plasmeranno il futuro della nazione, così come l’impegno per una trasformazione sociale, politica ed economica.

Gaia Facchini

BIBLIOGRAFIA:

  • M. Parsa, Democracy in Iran: how it failed and how it might succeed, Cambridge: Harvard University Press, 2016
  • A. Ashari, H. Graham, “The Green Wave”, Journal of democracy, 2009
  • A. Bayat (2018), citato in Golkar, “Protests and regime suppression in post-revolutionary Iran”
  • Rauh, E.L. “Green Movement| Thirty years later: Iranian visual culture from the 1979 Revolution to the 2009 presidential protests” International Journal of Communication, 7 (2013)
  • G. Facchini, What do Iranians want? A study of the protests in Iran since 1979, 2023

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