Dov’è la casa del mio amico: la poesia in pellicola di Abbas Kiarostami
Non è una novità: il cinema iraniano ha sempre avuto un debole per il Neorealismo italiano e mentre negli anni Ottanta (anni del lungo conflitto fra Iran e Iraq) la maggior parte dei film di produzione iraniana erano di guerra o di propaganda, Abbas Kiarostami ha voluto mettere in scena la “poesia del cinema”, poesia con cui inizierà a far conoscere il suo linguaggio cinematografico a livello internazionale.
Dov’è la casa del mio amico uscì nel 1987 ed è il primo film della trilogia Koker, nome di un villaggio iraniano in cui Kiarostami decise di ambientare quest’opera e le altre due che ne fanno parte: E la vita continua e Sotto gli ulivi.
La poesia a cui fa riferimento il titolo del film è di Sohrab Sepehri: «Tu andrai in fondo a questo viale che emergerà oltre l’adolescenza, poi ti volterai verso il fiore della solitudine. A due passi dal fiore, ti fermerai ai piedi della fontana da dove sgorgano i miti della terra. Vedrai un bambino arrampicato in cima a un pino sottile, desideroso di rapire la covata del nido della luce e gli domanderai: dov’è la dimora dell’Amico?».
Si vede come nella sceneggiatura riaffiori il significato di tutte queste parole senza
che ne vengano pronunciate ad alta voce altrettante.
La storia messa in scena è molto semplice ma densa di significato: un giorno Ahmed, il bambino protagonista, tornato da scuola si accorge di aver messo per sbaglio nella cartella il quaderno di un suo compagno di classe; il maestro è molto severo e il suo amico rischia di essere punito se non farà i compiti assegnati per il giorno dopo sul suo quaderno. Da questa breve narrazione, fatta più di sguardi che di parole, se non i rimproveri dell’insegnante nei primi minuti di racconto, inizia il viaggio di Ahmed per cercare la casa del compagno a cui deve restituire il quaderno. Un film fatto di adulti che urlano e non ascoltano, bambini che implorano di essere ascoltati e non vengono capiti.
Le prime scene sono emblematiche di come Ahmed, rappresentante di un mondo infantile, non venga preso in considerazione da nessuno: il ragazzo continua imperterrito a spiegare alla madre l’urgenza del restituire il quaderno al suo compagno ma lei, presa dalle faccende domestiche e il bucato da stendere, non gli presta attenzione e anzi lo rimprovera fino a quando non lo esorta ad andare a prendere il pane. Qui inizia il viaggio del protagonista, che usa come scusa la commissione che gli è stata assegnata per mettersi alla ricerca della casa dell’amico.
Ahmed scenderà e salirà più volte una collina che lo porterà in un altro villaggio e senza sosta continuerà a chiedere indicazioni per trovare la casa di una famiglia il cui cognome sembra sconosciuto agli abitanti del posto che incontra lungo la via. nIgnorato dagli adulti di un caffè, perso fra i viottoli di un paese sconosciuto, il bambino del film di Abbas Kiarostami ci ricorda Bruno in Ladri di Biciclette. Il regista iraniano infatti sembra evocare quel cinema di pedinamento tanto caro alle sceneggiature di Cesare Zavattini dove il moto continuo è protagonista: così come Vittorio De Sica seguiva, dietro la cinepresa, le vicende del piccolo Bruno e del padre, Kiarostami ci fa orientare e disorientare, proprio come nella realtà, nell’errare incerto del giovane Ahmed.
Tema centrale in Dov’è la casa del mio amico è anche il rapporto con gli anziani: due generazioni a confronto con uno sguardo rivolto al futuro. Molti uomini adulti dettano regole e impartiscono ordini a voler mettere in evidenza il ruolo della tradizione patriarcale esercitato nel Paese. Un incontro fondamentale è quello fra il giovane protagonista e un anziano che lo accompagnerà per un breve tratto nelle vie di quello che ormai agli occhi dello spettatore sembra un labirinto.
Dov’è la casa del mio amico però non è solo un cinema di sguardi su una vicenda che costruisce sapientemente immagini realistiche, il film allude al bisogno di comunicare, alla mancanza di dialogo all’interno di un Iran in una fase storica che necessita di un nuovo confronto generazionale. Il tema del cambiamento è implicito nell’azione di ricerca del protagonista. Abbas Kiarostami chiede allo spettatore di rispondere ad una serie di domande: esiste quell’amico Dove porterà la ricerca di Ahmed? Si capirà ben presto però che la “cosa” da cercare non è il fine e che l’atto della ricerca è l’obiettivo. L’amico è l’azione del “cercare”: uno slancio vitale a cui Ahmed tende se stesso, anima e corpo.
Erika Nizzoli