Non conosci Papicha: un’Algeria femminile, coraggiosa, tormentata
Questa frase, pronunciata da uno dei protagonisti di “Non conosci Papicha”, rappresenta bene l’atmosfera in cui l’Algeria degli anni ’90 si trovava immersa e, con lei, tutta una generazione di giovani.
Le protagoniste del film hanno vent’anni in un’Algeria immobilizzata dalla guerra civile, presa in stallo dalle milizie estremiste dopo il golpe del 1992. Negli anni del governo militare la giovane Nedjma, interpretata da un’intensa Lyna Khoudri, sogna di fare la stilista mentre vive nella residenza universitaria di Algeri con le amiche, con cui cresce, sperimenta, trasgredisce.
La regista Mounia Meddour rivive, attraverso la storia di Nedjma, la propria giovinezza quando, appena diciottenne, fu costretta a fuggire insieme alla famiglia verso la Francia. “Non conosci Papicha”, uscito nel 2019, è stato censurato nella sua Algeria e in molti paesi arabi, ma ciò non ne ha fermato la circolazione e la diffusione del potente messaggio di speranza.
Nedjma studia francese all’Università di Algeri e condivide la quotidianità con le sue migliori amiche, con le quali, quasi ogni notte, nonostante il pesante regime militare in vigore, fugge dalla residenza per andare in discoteca. Qui le ragazze vendono gli abiti che Nedjma abilmente cuce, sognando di poter un giorno sfilare sulle grandi passerelle della moda e di poter aprire una propria boutique.
Proprio nella moda e negli abiti Nedjma si rifugia, ogni volta che la tensione cresce. Quando qualcosa la ferisce profondamente o scuote la sua emotività, lo spettatore vede Nedjma impugnare la matita con forza e disegnare, tracciare, immaginare nuovi abiti nei quali avvolgersi e sognare. Nedjma disegna come a cercare di mantenere un controllo su una situazione troppo vasta e disordinata: quella di un’Algeria flagellata dagli attentati terroristici, e dai tentativi degli estremisti di prendere il controllo dell’estetica femminile, che la ragazza tanto ama e di cui desidera riappropriarsi.
Oltre a quella fra il caos della guerra e la bellezza femminile, le contrapposizioni con cui la regista racconta il decennio nero algerino sono numerose e significative. Da un lato, donne sorridenti, capaci di resistere fino allo stremo, in grado di rialzarsi dopo le peggiori offese con ottimismo e determinazione. Dall’altro lato, poche figure maschili, fugaci, fosche, pessimiste, rassegnate. Uomini opachi e insignificanti, intenti a far riecheggiare l’odio diffuso dagli estremisti in ogni forma possibile.
Se da un lato proprio gli uomini stanno prendendo il controllo dello spazio pubblico, pattugliando le strade e imponendo alle donne di restare a casa, dall’altro le giovani protagoniste sono capaci di far stare i loro immensi sogni all’interno di minuscoli spazi privati. Negli hammam umidi, nelle stanze condivise, nell’intimità degli angoli a cui vengono relegate, Nedjma e le sue compagne sono capaci di enorme coraggio e resistenza, riuscendo a coltivare un’incrollabile solidarietà femminile.
Proprio come il loro paese, le protagoniste oscillano fra la tradizione e la modernità. Nedjma si avvolge i capelli nel metro da sarta come se fosse il kardoune, un metodo algerino tradizionale di lisciamento dei capelli (qui per saperne di più), e la sua scelta di dedicare un’intera sfilata ai tessuti tipici non collide con il suo amore per gli abiti europei. Il conflitto identitario algerino si riflette nelle vicende delle ragazze, che ascoltano la storia del proprio paese senza smettere di guardare al futuro.
Il messaggio del film si amplifica e si rinvigorisce attraverso gli elementi naturali, come in un immenso concerto della natura e delle emozioni. L’aria delle grandi terrazze, dove le giovani giocano e crescono, è portatrice di idee e novità. L’acqua del mare, in cui le ragazze si tuffano e ridono insieme, è luogo di condivisione dove sperare ciò che non si conosce ma si desidera per il proprio futuro. La terra, materna, accoglie il dolore di Nedjma e la disillusione del primo amore in diversi punti della pellicola. E, infine, il fuoco che distrugge, che vuole cancellarle il sorriso dal viso, il sogno dal cuore.
“Papicha”, che vuol dire “ragazza libera e sfrontata” nel dialetto algerino, è il modo in cui Nedjma affronta la paura e la guerra. Con il sorriso, con una forza di cui non ci si può che stupire, con la determinazione positiva e testarda che si contrappone allo scenario di devastazione e distruzione che la circonda. La sua storia è quella dell’Algeria, di un paese sfinito dalle estenuanti attese e martoriato dalle improvvise esplosioni, la storia della contrapposizione fra la violenza e il desiderio di continuare a sognare.
Avana Amadei