The Dissident – Uccisione e censura saudita a Jamal Khashioggi

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È uscito lo scorso 12 febbraio su piattaforma digitale il nuovo documentario di Bryan Fogel, regista che con Icarus nel 2018 vinse l’Oscar al miglior documentario. Se con il primo film Fogel si era concentrato sul caso di doping interno alla federazione olimpica russa, vicenda che portò alla sospensione della Russia dalla partecipazione alle olimpiadi invernali del 2018, con questo nuovo lungometraggio il regista si interessa dell’omicidio di Jamal Khashioggi: giornalista dissidente saudita del The Washington Post morto il 2 ottobre 2018 nel consolato saudita a Istanbul. Ucciso da agenti del governo saudita.

Khashioggi aveva lasciato l’Arabia Saudita nel 2017 in aperto dissenso con il regime per la stretta sui diritti umani avvenuta nel paese. Arrivato negli Stati Uniti aveva cominciato a lavorare con la famosa testata americana collaborando col giovane Omar Abdulaziz, anch’egli dissidente saudita e residente in Canada con asilo politico. Proprio grazie al cellulare hackerato di quest’ultimo gli agenti sauditi scoprono del viaggio di Khashioggi a Istanbul a inizio ottobre: un viaggio organizzato al fine di ottenere i documenti per sposare la sua fidanzata, un viaggio da cui non farà più ritorno. Il giornalista viene ucciso mentre la sua fidanzata lo aspetta in strada senza sapere nulla della sorte dell’uomo: il suo corpo viene segato in due, le braccia, le gambe e la testa vengono staccate dal busto, il tutto con una sega da macellaio. Nel film sentiamo le parole del giornalista poco prima di morire. La sua morte resta avvolta nel mistero dal 2 ottobre fino al 20 dello stesso mese, quando a seguito delle indagini della polizia turca il governo saudita ammette la morte del dissidente all’interno del proprio consolato.

The Dissident è una storia tipica dei migliori documentari di Netflix, una storia in grado di lasciarti disarmato e disgustato allo stesso tempo, ma la piattaforma, nonostante avesse vinto l’Oscar proprio distribuendo Icarus, decide di non acquisirne i diritti. È solo grazie a LuckyRed e MioCinema che viene distribuito in Italia. Né Netflix né Amazon Prime Video, le più grandi piattaforme di streaming, hanno avuto il coraggio di dar voce alla verità sull’omicidio di Khashioggi, una verità che non ha bisogno di contraddittori e ulteriori indagini, una verità che è incontestabile e sconcertante: corruzione, petrolio e Mohammed bin Salman (il principe saudita, MBS per i media) queste sono le parole d’ordine di questo turpe omicidio.

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Khashioggi non deve essere scambiato per un classico dissidente poiché nonostante fosse un uomo critico verso il regime e verso le ingiustizie nel Regno Saudita, è stata proprio la repressione del regime a trasformarlo in un paria e a costringerlo alla fuga negli Stati Uniti; una penna libera trasformata in un dissidente screditato, divenuto un animale da macello volto a scoraggiare altri dissidenti. Come più volte ricordato nel lungometraggio, un uomo reso una vittima sacrificale. Tutto ciò nel silenzio assenso di Europa, USA e Nazioni Unite.

In questo documentario potente e sconcertante scopriamo una verità per cui solo gli esecutori materiali hanno pagato un prezzo. Il mandante, il principe saudita, resta impunito, si propone come riformatore in ambito internazionale e accusa coloro che lui stesso ha mandato a uccidere il giornalista come servizi deviati. Nel silenzio generale che questo film vuole interrompere risuonano ancora stridenti le parole di un ex presidente del consiglio italiano che ebbe l’ardire di considerare l’Arabia Saudita come il luogo per un possibile nuovo Rinascimento. L’intento del film è quello costringere lo spettatore a prendere una posizione e fare la sua parte, ma che parte? Che fare di concreto contro una violenza così miope e sconsiderata? Che fare contro il silenzio assordante volto a proteggere un regime?

Luigi Toninelli

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