This is my land… Hebron: testimonianze non oscurate
Era il 1968 quando dopo la Guerra dei sei giorni, terminata con la vittoria di Israele, i coloni iniziarono ad occupare sempre più territori: alcuni di questi si insediarono ad Al-Khalil (Hebron) luogo considerato sacro dalle comunità cristiane, ebraiche e musulmane poiché città in cui fu sepolto Abramo, a cui fa riferimento il nome che dall’arabo si traduce con “L’amico di Dio”. Gli occupanti, che non erano più di una trentina al loro arrivo, per giungere ad Hebron si finsero turisti e alloggiarono nell’hotel principale della città rifiutandosi di lasciarlo: da qui violenze e repressioni verso la popolazione locale sono state caratterizzate da un’interminabile ascesa.
Negli anni Settanta il governo israeliano concesse agli occupanti di costruire una nuova città dove prima sorgeva una vecchia base militare: Kyriat Arba. Da questa espansione nacque la prima colonia israeliana all’interno di una città che contava (nel 2010) 150 mila palestinesi e 700 coloni israeliani difesi da 2000 soldati. Hebron venne così divisa secondo il principio di separazione: fu promossa una vera e propria sterilizzazione di alcune aree della città a cui da quel momento in poi venne vietato l’ingresso ai palestinesi. nLe violenze che subiscono i cittadini ogni giorno ad Hebron sono testimoniate in parte da questo documentario, così come lo sono le iraggionevoli spiegazioni dei coloni. Nel film si ricorda anche l’attacco terroristico organizzato da Baruch Goldstein che uccise 29 palestinesi durante il mese del Ramadan.
This my land… Hebron è un documentario del 2010 diretto da Giulia Amati e Stephen Natanson. La regista decise di voler girare il film quando si trovava sul posto per tenere un corso di filmmaking promosso e finanziato dall’Unione Europea: ben presto si rese conto della necessità di dover documentare ciò che avveniva quotidianamente ad Hebron. Quello dei due registi è un lavoro coraggioso che oggi va riesaminato poiché in esso si cela «l’occupazione nella sua forma più brutale, crudele e folle» in cui «Hebron è il luogo del male», come afferma nel film uno degli intervistati: Uri Avnery, ex parlamentare israeliano. L’estremismo degli occupanti in questa città viene ignorato dalla stampa e dalle autorità mentre sui muri si leggono scritte come «Kill the arabs» o «Gas the arabs» e i coloni rivendicano la legittimità dell’occupazione poiché terra loro promessa da Dio.
Nell’opera vengono interpellate più voci che possono dare la loro versione dei fatti senza essere manipolate da stili registici emotivi o tagli volti a oscurare parte delle vicende. Assistiamo a testimonianze molto diverse: dal rappresentante dei coloni che ritiene giusto istigare i bambini all’odio contro i palestinesi, fino a chi vive ad Hebron da generazioni e si trova in trappola nella sua stessa città dove pietre, acqua sporca ed escrementi vengono gettati dalle finestre sulle vie frequentate dai locali in una repressione incessante che cerca di far fuggire gli abitanti per sfinimento.
Tra i vari protagonisti del film vi è Yehuda Shaul, un ex militare israeliano fondatore dell’associazione Breaking the Silence che si occupa di testimoniare le aggressioni perpetrate a danno della popolazione palestinese. È invece di schieramento opposto David Wilder, il portavoce dei coloni che riporta che in qualsiasi altro paese Yahuda Shaul sarebbe stato ucciso per tradimento e condannato a morte.
Quello che hanno realizzato Amati e Natanson è un docu-film in cui non ci si lascia andare a sentimentalismi e l’eterogeneità delle voci presenti viene data attraverso una regia sobria e pulita proprio per rimarcare che purtroppo l’odio e la violenza non hanno bisogno di essere recitati per uscire allo scoperto.
This is my land… Hebron è ancora fortemente attuale, soprattutto dopo gli avvenimenti che riguardano l’assassinio della giornalista Shireen Abu Akleh per mano delle forze di occupazione israeliane e molte altre ingiustizie costantemente oscurate.
Il film si può vedere su Youtube con i sottotitoli in italiano al seguente link: https://youtu.be/A5kfE5uDEBY
Erika Nizzoli