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Il fumetto in Medio Oriente e Nord Africa

La parola fumetto è forse uno dei termini che più raramente compare all’interno dei discorsi sulle pratiche artistiche, in Italia così come all’estero. Considerato da molti come un semplice genere pseudo-letterario dedicato ai bambini, il fumetto viene difficilmente riconosciuto nell’immaginario comune come un’arte a tutto tondo, a dispetto della fervente attività creativa che lo circonda in diverse parti del mondo. Anche la zona del Medio Oriente e Nord Africa non fa eccezione e, se già di per se il fumetto fatica a guadagnarsi spazio nell’arena artistica, questo genere nella regione MENA deve lottare ancor di più. Infatti, nonostante alcuni titoli siano riusciti a uscire dai propri confini geografici e ricevere un discreto apprezzamento internazionale, parlare di fumetto in Libano, Marocco o Egitto non è ancora così immediato.

Nei nostri articoli precedenti avrete già incontrato esempi di fumetti e graphic novel provenienti da questa regione del mondo: qui potete trovare una nostra riflessione su uno dei più conosciuti, l’Arabo del Futuro, mentre qui trovate l’articolo sulla altrettanto conosciuta graphic novel di Marjane Satrapi, Persepolis.

Ma se dovessimo ricostruire un po’ la storia di questo genere, da dove partiremmo? E al di là dei nomi che si sono costruiti una eco anche in Italia, chi sono i protagonisti di questa forma artistica e quale è il loro impatto?

Un genere trascurato

Adottando un punto di partenza cronologico, il primo fumetto che non fosse una traduzione è stato pubblicato in Egitto nel 1923 con il titolo di Al Awlad.

I primi fumetti ‘home-made’ cercavano di raccontare storie per un pubblico giovane, con l’idea di creare immagini in cui i ragazzi potessero riconoscersi. Il fatto di essere dedicati a una fascia di età così specifica non vuol dire che non fossero politici. Ad esempio, Hussein Bicar, il fondatore di Sindbad, uno dei fumetti più di successo, era un membro della Society of Post-Orientalist, quindi molto consapevole del potere del mezzo e di come potesse essere usato per promuovere idee panarabe.

Copertina di Sindbad

L’arte del fumetto dunque offre anche una visione affascinante della propaganda politica e delle correnti di pensiero, nonché delle influenze interculturali che risultano visibili in filigrana in molteplici vignette. Molti dei protagonisti della scena del fumetto contemporanea infatti sottolineano come da piccoli, la loro unica fonte di ispirazione e di lettura fossero fumetti provenienti da tutto il resto del mondo, dato che il mercato dedicato a questa produzione è sempre stato molto ristretto nella maggior parte dei paesi della MENA.

L’Egitto, come è avvenuto per diverse altre sfere culturali, ha dominato questa industria per molti anni, pubblicando riviste come Samir già nel 1952. A partire dagli anni ’60 però sarà il Libano a sostituire l’Egitto come principale centro di produzione. Con una libertà di espressione relativamente alta rispetto al resto del mondo arabo, il Libano sembra essere ancora oggi un epicentro importante per la produzione di fumetti.
I fumetti dunque, soprattutto quelli per bambini, sono presenti nel mondo arabo da oltre 70 anni. Ma negli ultimi anni si è assistito a un improvviso aumento di quelli destinati a un pubblico adulto, in particolare dopo le rivolte, e con esso un interesse e un seguito senza precedenti.

Il sistema dei collettivi

Nonostante la rinnovata attenzione ricevuta dal fumetto e da diverse altre forme d’arte utilizzate nel 2011 come mezzi di rivolta, la pubblicazione di vignette rimane una faccenda complessa. Il problema principale con cui gli autori si devono confrontare riguarda la diffusione e la commercializzazione delle loro creazioni. Se da una parte, internet e l’allentamento della censura in alcuni paesi in seguito alle rivoluzioni hanno permesso una maggiore diffusione, il mercato rimane estremamente limitato. Non ci sono case editrici che siano specializzate in produzione di fumetti e molti degli artisti finiscono per riunirsi in collettivi proprio con l’obiettivo di autoprodursi.

Il primo collettivo di questo genere è senza dubbio Samandal. Si tratta di un collettivo libanese basato a Beirut il cui nome significa salamandra, ovvero un animale anfibio tra acqua e terra che sembra proprio ricordare la natura ibrida dei fumetti.

Nato nel 2007, il collettivo ha costituito il trimestrale sperimentale lanciato nel 2008, prima rivista di fumetti in lingua araba per adulti. Oggi conta circa 12 membri operativi che si sono ispirati al bisogno di creare uno spazio di espressione là dove la scena del fumetto arabo era una fortemente marginale. Uno dei principi alla base di Samandal è di richiamare artisti da ogni dove, non soltanto dal Libano ma anche da altri paesi arabi ed è interessante notare come arabo, francese e inglese siano tutte accettate come lingue di pubblicazione.

Copertina della rivista Samandal

Un altro obiettivo che Samandal ha in cantiere riguarda la diffusione dei fumetti stessi, attraverso l’organizzazione di lanci ed eventi: il fumetto deve arrivare alla gente. In sostanza, si è cercato di creare un sistema là dove non c’era e ha funzionato così bene che si è tentato poi di esportarlo in altri Paesi. In Marocco ad esempio, sulla base di esigenze simili, è nato il collettivo Skefkef, mentre la Tunisia si è presentata sulla scena internazionale con il Lab619, all’origine per altro di un interessante lavoro sulla migrazione.

Un’altra importante aggiunta al panorama delle riviste e delle collaborazioni in campo fumettistico è Tok-Tok, un trimestrale egiziano auto pubblicato avviato nel 2011 da un gruppo di giovani artisti grafici. Come Samandal, anche i numeri di Tok-Tok sono disponibili online per soddisfare il loro vasto pubblico digitale e forse anche per evitare la censura di Stato.

La censura

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La questione della censura meriterebbe di essere trattata più nello specifico, ma basti pensare che uno dei fumetti più rivoluzionari, che ha costituito un punto di svolta per la produzione vignettistica araba, è stato bandito nel 2008. Si tratta del fumetto egiziano Metro, il cui autore Magdy El Shafee è stato condannato per offesa alla pubblica decenza. Molti altri fumettisti hanno avuto problemi con i rispettivi stati e altri si sono inventati strategie e pseudonimi per continuare a riempire i loro disegni e personaggi di opinioni politiche. E’ il caso ad esempio di Nadia Khiari, artista tunisina conosciuta per il suo personaggio Willis from Tunis, che per molti anni, anche in seguito alle assicurazioni di Ben Ali sulla fine del calpestamento del diritto alla libertà di parola, ha deciso di non rivelare la sua identità.

Tra politica e società

Il fumetto nella regione MENA ricopre quindi molto spesso una funzione politica, di protesta e di affermazione del sé. Molte autrici, hanno utilizzato il fumetto proprio per riprendersi un diritto ad alzare la voce che sembrava essere impossibile accordargli. Uno dei casi più significativi, è stato sicuramente quello dei molti fumetti pubblicati in seguito alle proteste del 2011 che contenevano una forte denuncia degli stupri e delle molestie subite dalle manifestanti, spesso a opera dei loro stessi ‘compagni’ (Qui potete trovare i Comics on sex assaults after the 2012-2013 protests in Egypt).

La possibilità di imprimere su carta la propria opinione senza avere altri limiti se non quelli del riquadro di una vignetta ha portato diverse artiste a rivolgersi al fumetto come mezzo privilegiato per esprimere la propria visione sull’essere donna. Il caso più emblematico è sicuramente quello di Zainab Fasiki, che con il suo volume dedicato alla Hshouma, ha decostruito questo concetto diffuso nel Maghreb, che viene utilizzato per indicare un comportamento considerato socialmente vergognoso o impudico perché legato ad un tabù. Si tratta infatti di una parola che quando invocata vuole imporre il silenzio su un certo argomento proibito, spesso legato alla sfera sessuale.

La copertina dell’album di Zainab Fasiki

Fumetto e storia

Ma il fumetto, come già era avvenuto nel caso di Persepolis, non è solo una voce che si alza, ma anche uno sguardo che si rivolge al passato, atto a ricostruire pezzi di memoria che iniziano a sbiadire. Il Libano offre ancora una volta un vasto panorama in questo senso, basti pensare a Le Jeu des hirondelles : Mourir, partir, revenir di Zeina Abirached, o Murabbe wa Laban di Lena Merhej, in cui pezzi di storia personale si intrecciano con l’ordito della complessa storia del Libano, che riflette i suoi traumi sulle esperienze di vita di molti dei suoi cittadini.

Altre volte invece il fumetto offre l’occasione per fare una fotografia del presente, là dove alle telecamere è vietato l’accesso. E’ stato il caso di Comics4Syria, un progetto nato per raccontare storie ed episodi ispirati alla rivoluzione siriana, scritti, redatti e disegnati da coloro che la hanno vissuta.

Fonte: pagina Facebook di Comic4Syria

Parlare del presente non significa solo avere le parole per farlo, ma anche avere la capacità di rappresentarlo. E nel caso di Lena Merhej, il fumetto ha rappresentato il medium perfetto per unire parola e immagine in una narrazione coerente delle proteste libanesi. L’artista ha infatti elaborato un abbecedario illustrato sulla rivoluzione libanese, in cui ad esempio la lettera tha viene accostata alla parola thawra di cui per altro abbiamo parlato a lungo in questo podcast.

Un genere emergente

Il fumetto è quindi in un processo di forte affermazione del sé a livello nazionale e internazionale e l’importante ruolo politico che si è trovato a ricoprire nel periodo delle rivoluzioni del 2011 ha sicuramente contribuito alla sua accresciuta visibilità internazionale. Inoltre, festival come CairoComix, costituiscono luoghi privilegiati in cui il futuro di questo genere viene scritto attraverso una vera e propria riunione in cui condividere ciò che gli artisti creano ed elaborano di anno in anno.

I festival come il CairoComix sono importanti proprio perché danno importanza e visibilità a fenomeni culturali, offrendo uno spazio di creazione condivisa e una porta di accesso a potenziali interessati a livello internazionale. Sono proprio questi spazi di scambio i primi luoghi in cui guardare per cercare di indovinare i futuri sviluppi di un genere trascurato sì, ma con gli ingredienti giusti per guadagnarsi il suo spazio nel panorama artistico della regione.

Elena Sacchi


Fonti

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