Yemen: un conflitto silenzioso
Situato all’estremo sud della Penisola Arabica, lo Yemen è oggi teatro di un violento conflitto interno nato nel nord del Paese, per poi espandersi progressivamente verso sud.
Le Nazioni Unite stimano che dal 2015 al 2021 circa 377.000 yemeniti siano morti a causa della guerra: di questi, il 60% sarebbe deceduto per cause non direttamente collegate ai combattimenti, ma generate dagli effetti della guerra, tra cui scarsità di cibo, acqua potabile e il collasso del sistema sanitario.
In questo articolo cercheremo di contestualizzare il conflitto, spesso definito come una delle più grandi crisi umanitarie di tutti i tempi.
Contesto storico
Non tutti sanno che il Paese è sempre stato diviso in due parti, la Repubblica Araba dello Yemen al nord, e La Repubblica Democratica Popolare dello Yemen a sud. Entrambe sono rimangono indipendenti finché gli inglesi, con la presa di Aden del 1839, penetrano nel sud. Qualche anno dopo, nel periodo compreso tra il 1882 e il 1914, Londra stabilisce il proprio protettorato, sfruttando i territori yemeniti per assicurarsi un passaggio commerciale con l’India e l’Estremo Oriente.
Gli anni Sessanta hanno segnato la storia di nazionalismi e delle indipendenze dei paesi di Africa e Medio Oriente, e lo Yemen non fa eccezione. Spinta dal sentimento nazionalista di Egitto e Siria, la popolazione dello Yemen del sud si ribellò alla presenza britannica. Dopo una lotta armata contro il Fronte Nazionale di Liberazione (NLF), la Gran Bretagna si ritira dal sud, che ottenne l’indipendenza nel 1967, e tre anni dopo il FNL proclama la nascita della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, l’unico stato arabo governato da un regime dichiaratamente marxista.
A nord la situazione è invece diversa: con il sostegno egiziano, nel 1962 viene rovesciata la teocrazia zaidita, alla guida del Paese dal 1918, e proclamata la Repubblica Araba dello Yemen (RAY). Ma l’Arabia Saudita, preoccupata della sconfitta dei conservatori per mano dei repubblicani, si schiera dalla parte dell’imamato, contribuendo alla creazione di una guerra civile tra monarchici e repubblicani. Il ritiro dallo Yemen di Nasser dopo la sconfitta della guerra dei sei giorni (1967) assicura la vittoria ai repubblicani, che salgono al potere con Ali Abdullah Saleh, sciita zaidita, nel 1978.
Con una Repubblica nazionalista a nord e uno Stato marxista a sud, l’idea di un’unificazione sembra lontana. Ma i possibili benefici di uno sfruttamento congiunto hanno costituito la spinta necessaria verso la firma di un accordo definitivo nel 1989, e nel maggio 1990 è stata annunciata la nascita della Repubblica dello Yemen, con capitale Sana’a.
Le differenze storiche tra le due parti rendono però difficile tale processo: gli abitanti del sud percepiscono l’unificazione come un’annessione forzata e sono sempre meno coinvolti nelle file governative, negli impieghi pubblici e in molti altri settori. Seguono numerose tensioni sociali, poi sfociate in un conflitto aperto nel 1994, risoltosi con il consolidamento del potere di Saleh nonostante le sue accuse di autoritarismo e corruzione. In carica fino al 2012, la sua strategia di divide et impera ha contribuito ad esacerbare la dicotomia nord-sud.
Convinti dell’impossibilità di un’unione con il nord, molti yemeniti meridionali trovano a questo punto la loro guida nel movimento anti-establishment al-Hirak al-Janubi, nato nel 2007 con l’obiettivo di rendere il sud autonomo.
Chi sono gli Houthi?
Fondato da Husayn Al Houthi, il movimento sciita zaidita nasce nel 1992, inizialmente con il nome arabo Ansar Allah (“partigiani di Dio”) e rivendica l’autonomia politica e confessionale delle terre del nord yemenita, dove, sostenuti da elementi dell’esercito fedeli all’ex presidente Saleh, si oppongono all’influenza saudita e al governo centrale di Hadi. La loro roccaforte è sempre stata Saada, città del nord. Grazie anche al sostegno dell’Iran, il movimento si è trasformato da forza di guerriglia locale a governo, governando buona parte dello Yemen nordoccidentale.
Ma come si è arrivati alla guerra civile in corso dal 2015?
La dimensione del contrasto è aumentata in seguito ad un maggiore coinvolgimento internazionale, con l’entrata in scena dell’Iran in difesa degli Houthi.
Le parti coinvolte sono principalmente due: da un lato per l’appunto, il movimento degli Houthi, in lotta a fianco dell’Iran contro il governo yemenita, accusato di portare avanti contro di loro una guerra di religione. Dall’altro lato il governo riconosciuto a livello internazionale, guidato da Abdrabbuh Mansur Hadi e sostenuto da Arabia Saudita, paesi del Golfo, Egitto e Stati Uniti. Entrambe le parti sostengono di costituire il legittimo governo yemenita. Nel mezzo del conflitto sono insorti nuovi gruppi armati, tra cui Al-Qaida nella Penisola Arabica (AQAP), che ha in parte preso parte agli scontri.
Alcuni studiosi interpretano questa guerra come uno scontro basato sulla rivalità tra Iran e Arabia Saudita, ma la situazione è ben più complicata. Si tratta anche di uno scontro tra gruppi politici interni (quel che rimane del regime dell’ex presidente Saleh e le fazioni al potere oggi, sotto la guida dell’attuale presidente Abdrabbuh Mansur Hadi) e tra differenze religiose (vi è una crescente polarizzazione tra i sostenitori di Hadi, sunniti, e quelli degli Houthi, sciiti).
La guerra affonda le sue radici nelle rivolte popolari scaturite con il fallimento della transizione politica di Saleh nel 2011 e la salita al potere di Hadi, ma è ufficialmente iniziata alla fine del 2014 con la presa della provincia settentrionale di Sana’a e della capitale da parte degli Houthi.
Il conflitto si è poi intensificato quando, il 26 marzo 2015, la Coalizione Araba guidata dall’Arabia Saudita (formata da una dozzina di paesi, tra cui Egitto, USA e Regno Unito), ha iniziato a bombardare i territori occupati dagli Houthi per riportare al potere il governo di Hadi, riconosciuto a livello internazionale. Nel 2017 al-Hirak al-Janubi ha creato un suo ramo politico, il Consiglio di Transizione del Sud (CTS), dichiaratamente secessionista, assumendo il controllo di Aden e dell’importante isola di Socotra nel 2020.
Come mai il conflitto non è sotto i riflettori mediatici?
Come mai la guerra siriana ha molta più risonanza rispetto a quella yemenita, nonostante quest’ultima sia molto più violenta? Sicuramente, la presenza dell’ISIS in Siria fa sì che i “cattivi” siano più identificabili. Ad esempio, il fatto che lo Stato Islamico abbia rivendicato diversi attentati in Europa e negli USA lo rende, nella percezione occidentale, più pericoloso di al Qaida.
Anche il fattore migranti contribuisce a mettere in secondo piano la questione yemenita: la mancata presenza di grandi flussi provenienti dallo Yemen fa sì che non si possa sviluppare la narrativa necessaria a mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica sul conflitto.
Nonostante gli sforzi fatti per cercare di attenuare le conseguenze del conflitto, una soluzione per vie politiche sembra ancora lontana. Gli Emirati Arabi Uniti hanno abbandonato la Coalizione e si sono ritirati ufficialmente dallo Yemen nel 2019, l’anno successivo l’Arabia Saudita, a causa della pandemia, ha annunciato un cessate il fuoco da entrambe le parti, ma gli Houthi lo hanno rigettato. Dalla fine del 2020, gli Houthi controllano la maggior parte del nord e centro del Paese, il Consiglio di transizione meridionale (STC) controlla invece parte dello Yemen del sud e il governo centrale (GoY) gestisce l’est e il resto del sud del Paese.
Le complicità internazionali e gli interessi militari sono molte, e coinvolgono anche l’Italia: in particolare sono state fortemente criticate le bombe (soprattutto aeree) fabbricate in Sardegna dalla RWM (società italo tedesca che produce testate e munizioni), e vendute all’Arabia Saudita, usate poi per bombardare civili in Yemen. Il governo Conte si è però distinto positivamente, revocando le licenze di esportazione di bombe e missili all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, cancellando la fornitura di almeno 12.700 ordigni che venivano utilizzati dalla coalizione a guida saudita.
Alessandra Soldi
Fonti
- Eleonora Ardemagni, Yemen, i secessionisti del sud sfidano l’Arabia Saudita, ISPI online.
- This is the front line of Saudi Arabia’s invisible war, The New York Times Magazine.
- Marcella Emiliani, Medio Oriente. Una storia dal 1918 al 1991, Laterza, 2012.